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I Molini ad acqua in Martesana

Aggiornamento: 14 set 2023

Con il convegno del 3 ottobre 2020 promosso dall'associazione Concordiola, a Gorgonzola, ci sarà occasione di parlare di Molino Vecchio, delle acque che ne hanno permesso l’azionamento e caratterizzato la presenza, e del territorio della Martesana con le sue implicazioni storiche e contemporanee.

Per iniziare ad approfondire questi temi pubblichiamo un estratto del lavoro della D.ssa Anna Tanzi di Bellinzago Lombardo, che ha ben studiato il nostro territorio attraverso una tesi dal titolo: “Martesana, terra di acque e di delizie: la magia delle rogge e dei campi”.

Il breve estratto che trovate di seguito racconta della storia dei Molini idraulici, le loro caratteristiche, il loro funzionamento e la loro presenza, un tempo familiare, nel nostro territorio. L’intervento si conclude con un elenco e una mappa dei Molini, ormai storici, presenti in Martesana.

Ringraziamo la D.ssa Anna Tanzi per averci messo a disposizione questo materiale; suoi sono anche i disegni che ben illustrano il funzionamento del molino idraulico.




La storia

Il termine ‘molino’ deriva dal latino ‘molinus’ che significa ‘fornito di mola’.

Le prime testimonianze scritte che si riferiscono ad un molino azionato ad acqua risalgono ai versi del poeta greco Antipatro databile circa all’85 a.C. e successivamente Strabone nel 18 a.C. che descrive il mulino del palazzo di Mitriade a Cabira nel Ponto (Cappadocia).

La prima testimonianza dell’utilizzo dell’energia idraulica viene descritta da Vitruvio, architetto romano vissuto attorno al 20 a.C., ma solo a partire dal XI secolo, con la crescita della produttività delle colture agricole, ci furono le condizioni per un fiorente ed articolato aumento delle attività artigianali. E’ in questo contesto che in tutta l’Europa si diffusero i molini ad acqua.

In Italia i primi meccanismi sono documentati dal 710, in Lombardia le prime menzioni risalgono al 767.

Il grande sviluppo avvenne nell’alto Medioevo in coincidenza con l’inizio di una prolungata fase espansiva dell’economia europea.

Con l’aumentare e l’addensarsi della popolazione il molino diventò una presenza familiare soprattutto nei paesaggi caratterizzati da ricchi corsi d’acqua, da un’ampia diffusione della coltivazione dei cereali e dalla presenza di insediamenti abitativi di una certa consistenza.

Va precisato che nell’economia feudale, l’acqua, dal momento in cui serviva al funzionamento dei molini, divenne materia strumentale al lavoro (elemento naturale che fornisce energia per il funzionamento dei meccanismi – ndr) e quindi iniziò ad essere rigidamente regolamentata ed il suo uso soggetto a tassazione in quanto, dal suo utilizzo, se ne poteva ricavare un guadagno.

Il ‘mugnaio’ cioè la persona che aveva il compito di controllare e mettere in funzione il molino, ricopriva un ruolo molto importante. La sua presenza infatti permetteva al feudatario di controllare i raccolti dei contadini in modo tale che questi ultimi, non potendo macinare il grano da sé in casa perché, se scoperti, venivano aspramente puniti, erano costretti a denunciare tutta la loro produzione.

All’epoca gran parte dei molini risultava di proprietà delle comunità monastiche che agivano sul territorio, questo perché la costruzione e la manutenzione di un molino, nonché la richiesta di una autorizzazione per uno sfruttamento fluviale, rappresentava un notevole impegno economico che spesso soltanto la Chiesa riusciva a sostenere.

La Chiesa non ebbe però solo il ruolo di possidente, ma assunse talvolta anche quello di innovatore del livello tecnico dei molini, della canalizzazione dell’acqua necessaria per il loro funzionamento e del perfezionamento del sistema di chiuse per regolarizzarne il flusso.

La tecnologia dei molini ad acqua rimarrà invariata per circa due millenni.

Le tipologie dei molini ad acqua

Pur mantenendo caratteristiche tecnologiche abbastanza simili, i molini erano studiati ed adattati all’uso che ne veniva fatto e all’ambiente dal quale prelevavano la forza motrice.

Ricevendo l’acqua in punti diversi della ruota si hanno delle differenze per quanto riguarda l’energia sfruttata, si possono individuare 3 tipologie di funzionamento: le ruote orizzontali, quelle verticali per di sopra e quelle per di sotto.

Ruota orizzontale

Nell’area mediterranea i molini più antichi erano composti da una ruota orizzontale, la trasmissione del moto avveniva attraverso l’albero verticale. Una trasmissione diretta: dalla ruota alla macina. Ad ogni giro della ruota motrice corrisponde un giro della mola superiore.

Questa tipologia di ruote però, molto semplici, dissipano molta energia in urti e turbolenze, avendo quindi un basso rendimento. Questi meccanismi messi a punto più di 2000 anni fa sono adatti per funzionare con i corsi d’acqua del bacino del mediterraneo quasi asciutti nei mesi estivi e gonfi d’acqua in quelli invernali.

Ruote verticali

Le ruote verticali hanno sicuramente un rendimento superiore della precedente e possono funzionare anche con dislivelli limitati e portate molto grandi, producendo potenze molto superiori che permettono il funzionamento anche di più macine contemporaneamente.

Le ruote verticali si dividono in due tipologie: la ruota per di sotto e la ruota per di sopra.

La ruota per di sotto

Per sfruttare al massimo la spinta dell’acqua questa ruota necessita di un canale ben costruito. L’acqua che colpisce le palette perde una parte della sua energia potenziale durante il salto, poi però l’acqua rimane bloccata fra palette e spallette del canale e grazie alla forza di gravità fa girare la ruota. Le ruote che sfruttano l’energia potenziale, per avere un buon rendimento, devono girare lentamente, colpendo la ruota il più in alto possibile e con la velocità minore possibile. Le pale, per avere il maggiore rendimento, devono essere inclinate in modo da essere tangenziali alla velocità relativa dell’acqua rispetto alla ruota e possono essere piatte oppure ripiegate in modo tale che questa forma, radiale alla velocità, favorisca l’abbandono dell’acqua dalle pale nella fase di scarico.

La ruota per di sopra

Questo tipo di ruota è la più efficiente ma deve disporre di un dislivello del corso d’acqua abbastanza elevato (da 3-4 m fino ad una decina di metri) od almeno pari al diametro della ruota. Questi tipi di molini sono sorti soprattutto nelle aree di colline o pedemontane.

Elementi dell’impianto molitorio

La componente chiave di tutte le tipologie delle ruote verticali è il gioco di ingranaggi che permette di ribaltare su un asse verticale il movimento fornito da un albero orizzontale: gli ingranaggi sono due: il lubecchio e la lanterna.


Il primo, il lubecchio, è una ruota dentata fissata ad una delle estremità della ruota idraulica che trasmette il moto rotatorio alla lanterna, un ingranaggio formato da due dischi di legno sovrapposti ed uniti da fuselli e montati su un asse verticale che trasmette il movimento alle macine. Il sistema lubecchio-lanterna permette quindi la trasmissione e l’inversione del moto da verticale in orizzontale.

Più alto è il rapporto tra il numero dei denti del lubecchio ed il numero dei fusi della lanterna, tanto più velocemente gira, è l’incastro a farfalla che, ruotando, trascina la mola della macina. Questi ingranaggi riescono a portare i 12 giri che la ruota compie in media al minuto, ai 120 giri al minuto della macina necessari per macinare il granoturco o ai 90 per il frumento.


Per comporre una macina di mulino occorrono due mole sovrapposte l’una all’altra in posizione orizzontale, dal diametro di circa 120 centimetri e dallo spessore di 25 centimetri.

Quella sottostante è sempre fissa: la macinazione, infatti è provocata dalla rotazione della mola sovrastante. Entrambe le mole sono scanalate con dei canali che hanno il compito di fare uscire la farina e di raffreddare il processo di macinazione.

Le macine sono composte da pietra che viene ricavata dalle cave alpine, prealpine o appenniniche.

Le mole richiedono una adeguata manutenzione. Lo sfregamento dovuto alla rotazione della macina superiore, durante la macinazione della granella, su quella inferiore, provoca una continua usura delle due facce combacianti, perciò le scanalature devono essere spesso rinnovate.

La mole superiore può essere sollevata per effettuare la pulizia e la manutenzione e una volta all’anno, con un punteruolo o uno scalpello si punteggia la superficie della pietra per rimuovere tutti i residui accumulati e per ricostruire le scanalature in modo da renderli nuovamente efficienti.

L’insieme della mole più i relativi meccanismi formano il palmento.


La tramoggia, invece, è il recipiente in legno a forma di tronco di piramide o tronco di cono capovolti, posto sopra il palmento che contiene il grano o i semi da macinare.

Questa è chiusa da una cassetta aperta su un lato, sempre in legno, incernierata sulla

parete della tramoggia.

Attraverso alcuni meccanismi viene fatto scendere dalla tramoggia la quantità di granella desiderata che quando arriva tra le due macine viene frantumata e ridotta in farina, viene successivamente raccolta ed incanalata con un tubo inclinato verso un setaccio che si muove attraverso un movimento ruotante.

La farina fuoriuscita dai setacci viene insacchettata ed è pronta all’uso.


Evoluzioni tecnologiche

L’ingresso del vapore come forza motrice, nella seconda metà del XIX secolo, permise la costruzione dei molini anche dove non c’erano corsi d’acqua.

Nello stesso periodo si diffuse la macinazione a cilindri.

I Molini della Martesana

Nessuno dei dieci molini presenti in Martesana è ancora funzionante, anche se in alcuni sono ancora presenti tutti i meccanismi necessari. Molti sono stati modificati perdendo le caratteristiche di peculiarità che contraddistinguono questa tipologia di Molino. Per quanto riguarda le ruote si possono notare che quelli con le ruote in ferro hanno funzionato più a lungo nel tempo, e quelli con le ruote in legno invece testimoniano che l’edificio ha perso la sua funzione in tempi più remoti.



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